da tyla » 18/06/2020, 15:54
Intervengo, seppur a distanza di tempo, per un'ulteriore spunto di riflessione sul tema proposto dal collega gsalurso.
Alla luce della dich. cong. n. 7 contenuta nel ccnl 2018 del comparto FL, l'indicazione sopra riportata andrebbe seguita anche per detto personale.
Tuttavia, ripercorrendo il percorso che ha portato alla sua concretizzazione, si ha l'impressione che si tratti di un orientamento che nasce già obsoleto.
Infatti le sentenze che vertono sull'argomento (22925/2017 e 4069/2018) da cui trae spunto la dichiarazione del ccnl, originano da controversie fondate sull'applicazione dei principi contenuti nel Dlgs n. 61/2000 (previgente Testo Unico sul part time), vigenti all'epoca dei fatti di causa.
Il TU, all'articolo 4, dopo aver sancito al comma 1 il principio di non discriminazione in base al quale il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno, elencava, alla lett. a), i diritti del lavoratore a tempo parziale e, in particolare, stabiliva che dovesse beneficiare della medesima retribuzione oraria, del medesimo periodo di prova e di ferie annuali, della medesima durata del periodo di astensione obbligatoria e facoltativa per maternità, del periodo di conservazione del posto di lavoro a fronte di malattia e dei diritti sindacali, compresi quelli di cui al titolo III della legge n. 300 del 20 maggio 1970.
Alla lett. b), il citato articolo stabiliva che il trattamento del lavoratore a tempo parziale dovesse essere riproporzionato, in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa, in particolare per quanto riguarda l’importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa, l’importo della retribuzione feriale e l’importo dei trattamenti economici per malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale e maternità
Da ciò, distinguendo fra:
a) istituti che hanno una connotazione patrimoniale in stretta corrispettività con la durata della prestazione lavorativa, rispetto ai quali e' stato ammesso il riproporzionamento del trattamento del lavoratore,
b) istituti a connotazione non strettamente patrimoniale, che si è inteso salvaguardare da qualsiasi riduzione
derivavano le conclusioni della Corte, consistenti nel considerare non riducibili i permessi per alcune tipologie di p.time, stante che le previsioni normative non disponevano espressamente in tal senso.
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Nel frattempo (e in costanza dello svolgimento delle predette controversie) è stato introdotto il D.lgs. n. 81/2015 (Jobs Act) che, oltre ad abrogare il dlgs 61/2000, nel ridisegnare la disciplina del rapporto di lavoro a tempo parziale, ha ribadito il principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo pieno e lavoratori a tempo parziale prevedendo, per la generalità degli istituti facenti capo ai lavoratori dipendenti, che “il lavoratore a tempo parziale ha i medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno comparabile ed il suo trattamento economico e normativo è riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa” (art. 7).
Come vediamo, la normativa evolve dalla distinzione evidenziata dagli orientamenti giurisprudenziali ponendo su di un unico piano gli aspetti che - ad oggi - dovrebbero essere oggetto di differenziazioni (economiche e normative) rispetto al personale a tempo pieno.
Il ccnl 2018, pur prendendo atto delle previsioni del Jobs Act nel corpo normativo, con la dichiarazione congiunta n. 7 sembra andare oltre.
Va osservato anche che l'INPS, direi parte lesa nelle suddette sentenze semplicemente perchè le proprie linee non sono state minimamente prese in considerazione dai giudici (appello Inps inammissibile per difetto di interesse) non sembra farsene cruccio, visto che nelle proprie indicazioni (v. mess. n. 3114/2018) non solo non fa menzione di questi orientamenti, ma continua a confermare quelle precedenti.